LO SMALTO: TECNICA E STORIA di Pier Luigi Fantelli

Si definisce «smalto» in senso lato, quella particolare tecnica che accoppia paste vitree a superfici metalliche, impiegate come supporto, attraverso un processo di fusione al forno. Sorta dalla necessità di aggiungere «colore» ai metalli preziosi, è una tecnica quindi che si colloca tra quella del vetro e l'oreficeria e che richiede tre distinti componenti:

SUPPORTO. Può essere costituito da una lamina d'oro, d'argento, rame, ferro, ma ultimamente si è sperimentato l'acciaio inossidabile. Non è invece utilizzabile il platino perchè non permette l'adesione dello smalto. I metalli devono essere il più possibile puri, malleabili, dotati di buona conducibilità al calore e soprattutto di un coefficiente di dilatazione simile a quello dello smalto.
La sua luminosità è condizione indispensabile per far risaltare la trasparenza nello smalto traslucido.

SMALTO. È costituito da sabbia di silice (al 50%) aggiunta a carbonato di sodio, potassa e piombo misti a sostanze coloranti, cioè ossidi metallici. Si ottiene mescolando i vari componenti e fondendoli ad una temperatura di circa 1400° centigradi. Il composto ottenuto, chiamato «fritta» si presenta pastoso e denso: viene steso su tavoli metallici, ove si raffredda e solidifica in forma di tavolette che, macinate, daranno una sabbia fine e sottile, quasi una polvere. Sottoposta a lavaggi diversi, prima di essere impiegata, per la sua trasparenza e incolorità si avvicina al cristallo. Si rende opaco con ossidi di stagno o di titanio, floruro di sodio o fosfato di calcio; mentre per la colorazione si aggiunge alla fritta ossidi di cobalto per i bleu; ossidi di manganese e cobalto per i violetti; ossidi di stagno per i bianchi, ossidi di ferro e uranio per i gialli e infine ossidi di rame per i rossi e i turchini.
Lo smalto viene fornito in polvere, o graniglia, a pezzi o spezzettato. Ogni smalto ha un suo diverso comportamento al fuoco: in genere rivetrifica a circa 900° di cottura, ma la presenza di materie coloranti ne varia il grado di fusione per cui è necessario nell'applicazione procedere con gli smalti a grado di fusione più alto, per arrivare a quelli con grado più basso di cottura.

FORNO. È il vero catalizzatore dello smalto, che ne realizza in fondo il processo creativo. La cottura è una fase sempre in parte aleatoria perchè sempre imprevedibile, ma costituisce anche il momento più spettacolare e suggestivo. Realizzato in materiale refrattario, inizialmente a carbone oggi elettrico, il forno per le sue dimensioni condiziona anche i formati degli smalti. Con i suoi iniziali limiti assai ridotti, si spiegano i piccoli formati della prima produzione a smalto di De Poli.

TECNICHE.

Le tecniche applicative dello smalto sono essenzialmente tre, e concernono soprattutto il trattamento del supporto metallico: si tratta infatti di renderlo partecipe dell'aspetto estetico finale sfruttando la sua colorazione naturale. Le tecniche sono:

CHAMPLEVÉ. Su di una lastra di rame di almeno due millimetri di spessore, con una puntasecca o una matita dura si riporta il di-segno voluto. Con un bulino si toglie il rame, laddove deve andare lo smalto, fino alla profondità di circa un millimetro. I bordi di questo alveolo dovranno essere ben rifiniti per ottenere un effetto finale di pulizia e precisione.
Gli alveoli possono essere anche ottenuti con un particolare metodo incisorio, quello dell'acquaforte. Si ricoprono sul disegno le parti che nella lastra non dovranno essere ricoperte da smalto, con una apposita vernice al bitume. Immersa la lastra nell'acido, questo corroderà il rame solamente nelle parti scoperte: si creeranno così alveoli che comunque saranno rifiniti con un bulino. Negli alveoli così ottenuti viene inserito lo smalto umidificato, mediante una spatola. Si procede quindi ad una prima cottura, seguita da altre fino ad aver raggiunto l'effetto desiderato. Naturalmente lo smalto in alcune parti può aver debordato dall'alveolo; in questo caso viene asportato con frizioni di pietre dure ed acqua o con abrasivi sempre più fini. Così facendo però viene rimesso in luce il metallo sottostante, e in più lo smalto è ridivenuto opaco. Si procede perciò all'ultima fase, quella della cottura dopo un rinforzo dei colori: fase che porta all'aspetto definitivo dello smalto champlevé: così chiamato proprio perchè ottenuto dall'asportazione di una parte del rame della lastra (letteralmente = campo levato).

CLOISONNÉ. Mentre la tecnica a champlevé è sottrattiva, toglie cioè materia, la tecnica a cloisonné è additiva, aggiunge cioè materia alla lastra. Infatti, anziché scavare il rame o il metallo con alveoli, questi vengono realizzati mediante listelli metallici (cloisons) o piccoli fili (filigrane) che vanno saldati alla lastra stessa. In queste zone rilevate, rispetto al piano metallico, viene colato lo smalto, ottenendo una specie di vetrata, o mosaico, le cui tessere sono circoscritte esattamente dai listelli metallici.
Il procedimento iniziale è simile a quello dello champlevé: su di una lastra si riporta il disegno con puntasecca o matita dura. Su questa traccia viene sagomata una sottile lamina di rame, argento, od oro con una pinza, saldandola poi con argento. La laminetta può anche essere applicata direttamente su di uno strato preparatorio di smalto incolore, impiegato anche come adesivo, cotto poi leggermente. Negli alveoli così ottenuti si inserisce lo smalto come nello champlevé, facendo attenzione a non sovrapporre smalti differenti. Si passa quindi alla cottura e alla rifinitura.
La tecnica su cloisonné si distingue dallo champlevé perchè più lineare e quindi d'effetto più rigido, dovendo restare precisamente nei limiti dei fili metallici; laddove lo champlevé ha una sua relativa maggiore libertà. In compenso, lo spessore maggiore della cavità del cloisonné permette l'uso di foglie d'oro e d'argento, ottenendo perciò smalti traslucidi laddove lo champlevé utilizza per lo più lo smalto opaco.

SMALTO TRASLUCIDO E DIPINTO. Alla tecnica dello smalto dipinto appartiene la «bassetaille» o smalto traslucido, ottenuto quando si opera su di una lastra in argento od oro, mediante incisione a bassorilievo. Su questo disegno si applica uno strato di smalto trasparente che permette al disegno di trasparire. Più strettamente pittorica è invece l'operazione dello smalto dipinto vero e proprio, che può anch'esso essere trasparente od opaco.
Per lo smalto traslucido si usa in genere una placca di rame di circa 3-5 millimetri di spessore, resa convessa (bombata) con battitura per rafforzarla ed impedire il più possibile la deformazione dovuta alle successive cotture. Si sgrassa quindi con acidi e si passa su di essa una spolverata di smalto fondente che, cotto, costituisce la base della pittura. Su di essa si opera direttamente con un pennello, e colori vetrificabili; oppure vi si stende una foglia d'argento gualcita e perforata onde consentire all'aria sotto-stante di fuoriuscire e favorire così la dilatazione. La foglia ha la funzione di differenziare la base coloristica, generalmente intonata in rosso per essere in rame: si otterranno sfumature particolarmente fredde e «lunari».
I colori impiegati nello smalto traslucido sono anch'essi ossidi metallici, reagenti in differenti modi al fuoco ed ognuno con un proprio grado di cottura. Di questo fattore è necessario tener conto nella stesura, partendo quindi dai colori con grado di fusione più elevato che, essendo poi traslucidi, interagiranno tra loro per riflessione. Per effetti più naturalistici viene utilizzato, soprattutto in Francia, il così detto «blanc de Limoges», uno smalto finemente tritato e mescolato ad olii vegetali, steso a spatola sulle parti cui si vuoi dare rilievo luministico. Si cuoce ad un grado inferiore (c. 500°), altrimenti si può disperdere, e viene dato a successivi strati fino a che non si ottiene l'effetto desiderato. Procedimento simile è la «grisaille», che viene realizzata su fondente nero in modo da ottenere tutte le sfumature del grigio a seconda delle quantità di bianco sovrapposto.
Gli smalti opachi, essendo tali, sono coprenti e quindi è necessaria una sola smaltatura: il disegno sarà realizzato quindi al tratto non potendo sfruttare la trasparenza. Anche il grado di cottura è inferiore a quello dello smalto traslucido.

STORIA

I primi esempi di smalto li troviamo a Cipro verso il XIV secolo a.C. e quindi nell'epoca Micenea in Grecia ed in Egitto: si tratta di lamine d'oro cloisonné, o filigranato con pietre colorate allo scopo di dare nota di colore al metallo prezioso.
Nell'epoca classica in Grecia si impiega lo smalto fuso su oro, procedimento che i Romani applicano poi anche al bronzo. E però merito della cultura bizantina, tra il VII e il XII secolo, la diffusione dello smalto che applica con esiti altissimi all'oreficeria sacra e profana. Sono purtroppo pochi gli esempi che ci restano, risalenti alla crisi iconoclastica dell'VIII-IX secolo, e per di più provenienti da aree geografiche non bizantine (Gallia, Italia, Siria). Dal X se-colo però si affermano nel bacino mediterraneo ed in Europa le botteghe costantinopolitane, seguite in base al loro modello, da botteghe carolinge: in Lombardia ad esempio viene realizzato il famoso «Paliotto» di S. Ambrogio, a Milano, a Roma è la croce di Papa Pasquale, e così in Francia.
Nel periodo ottoniano anche la Germania (Trevi, Ratisbona) presenta pregevoli esempi di smalti, derivati comunque da modelli e stilemi bizantini. Tale prevalenza delle botteghe costantinopolitane si estende a tutto il XII secolo, favorita in più dalla dispersione dei tesori d'arte della città per tutto l'Occidente, in seguito al saccheggio seguito alla Quarta Crociata del 1204. Proprio da questa razzia proviene buona parte degli smalti impiegati nella famosa «Pala d'oro» della basilica di San Marco a Venezia.

Nel corso del XII secolo la tecnica dello smalto si perfeziona e affina, con l'introduzione dello champlevé, che segna il prevalere dello smalto sul metallo, fino al punto di farlo scomparire dalla figurazione. Proprio con questa tecnica si affermano in Europa le botteghe tedesche del Reno e della Mosa: soprattutto quest'ultima si distingue per il tentativo di modernizzare gli stilemi bizantini introducendo nello smalto motivi della contemporanea produzione miniaturistica. Da segnalare nella scuola mosana Godefroid Huy, attivo nella seconda metà del XII secolo (Trittico della Passione, Victoria and Albert Museum Londra), e Nicolas de Verdun, che allo smalto fa però prevalere la scultura (Reliquiario di Colonia). Da queste botteghe uscivano oggetti liturgici (calici, pissidi, reliquiari, turiboli ecc.) e prodotti d'uso domestico o personale (cofanetti, fibbie, bacili, brocche ecc.). Potevano anche essere realizzate singole placchette, poi adattate a croci, coperte di messali ecc.: famosa la placca tombale di Goffredo Plantageneto (1158-1168), del Museo di Le Mans, primissimo lavoro a desti-nazione privata della scuola francese di Limoges, allorché proprio grazie all'appoggio della famiglia dei Plantageneti, si stava affermando nella tecnica dello champlevé. Questa scuola, rispetto alla tedesca, si distingue per un più raffinato gioco coloristico tra oro e smalto bleu; come nel ciborio del Museo del Louvre di Parigi, firmato da «Magister G.Alpais», ove Io smalto fa da sfondo a figure lasciate in oro i cui volti però sono in fusione e cesello, applicati successivamente.

Dalla scuola limosina deriva in parte quella spagnola; ma anche l'inglese e in Italia quella fiorentina: per tutto il XIII secolo infatti opere limosine sono importate nei vari centri artistici italiani. Con l'affermarsi del gusto gotico, sempre in Francia nel XIV se-colo un'altra città diviene centro di produzione di smalti, Parigi. La tecnica qui impiegata era quella dello smalto traslucido, chiamato «émail damasquiné» nei documenti dell'epoca e quindi più correntemente «plique à jour», in quanto unito alla tecnica in cloisonné. Fu famoso ai suoi giorni Guillaume Julien, autore del reliquiario di San Luigi per il re Filippo il Bello, conservato nella Saint Chapelle. Non mancavano comunque oggetti d'uso, per l'abbigliamento, per l'ornamento. Comincia anche la smaltatura d'oggetti a tutto tondo («rondebosse»), come statuette: ne troviamo a Parigi, in Boemia, in Borgogna, in Renania e nei Paesi Bassi. Si producono anche reliquiari a forma d'altaroli portatili, ricordati da inventari dei beni di Carlo V, del Duca d'Angiò, del Duca du Berry e di Jeanne d'Evreux. Il reliquiario dello Spirito Santo al Louvre di Parigi presenta l'immagine di Carlo VI ed otto statuette in smalto che attorniano la Vergine e la SS. Trinità.

Un'altra tecnica impiegata dagli orafi parigini era quella chiamata «basse-taille»: il disegno si ricavava dalla placchetta di metallo incidendola col bulino, e quindi coprendola con smalto traslucido in modo che il disegno trasparisse al di sotto. Questa tecnica arrivò a Parigi attraverso Avignone, ove per il soggiorno del Papa erano giunti orafi senesi, i più importanti forse nell'Italia del XII se-colo. Da Siena infatti si esportano smalti in Umbria, in Italia Meridionale, in Spagna, in Inghilterra e in Francia. Famoso fu Ugolino di Vieri, autore con la bottega del reliquiario della Cattedrale di Orvieto, del 1338. La scuola senese abbraccia tutto il periodo tardo gotico e s'inoltra nel Rinascimento con una produzione per il culto, per l'arredamento e per l'abbigliamento.

Verso la metà del Quattrocento si afferma lo smalto dipinto. Per la sua caratteristica appunto pittorica, Io smalto dipinto si avvale di modelli ed iconografia della pittura, attraverso anche stampe e disegni. In genere fino al Cinquecento il disegno viene tracciato a pennello sulla base «fondante» di smalto bianco, con nero di bistro. Su questa falsariga si applicava quindi a spatola lo smalto colorato: l'effetto dopo cottura era quasi di un disegno a penna. In seguito il disegno sarà dato su base incolore, rialzandolo con oro.

A Limoges la tecnica dello smalto dipinto sarà presto adottata: una «Crocifissione» opera di uno smaltatore della famiglia dei Penicaud, Nardon, sarà terminata il 1 agosto del 1503 (oggi Cluny, Museo). Prima di questa produzione è segnalata quella delle botteghe di «Monvaerni», come viene segnato in un trittico ora a Cincinnati (USA); e di una bottega che realizzò il trittico del Museo di Orléans. Degli inizi del secolo (post 1502) è anche il così detto «Maestro dell'Eneide», dalla serie di opere in smalto ispirate alle incisioni di S. Brandt pubblicate appunto nel 1502 a Strasburgo; mentre alla metà inizia la diffusione della «grisaille».

In Italia nel corso del XVI secolo sarà soprattutto la manifattura fiorentina, legata ai Medici, a produrre smalti: lo testimoniano gli oggetti conservati al Museo degli argenti di Firenze, che prece-dono l'affermarsi del più famoso orafo smaltatore italiano, Ben-venuto Cellini. Fino a qualche tempo fa gli era attribuita la famosa «Saliera» per Francesco I, al Museo di Vienna. Importante anche la scuola veneziana, laddove anche in Lombardia erano ottimi artefici, ricordati dallo stesso Cellini.

Nel XVII secolo lo smalto è una tecnica diffusissima in tutta Europa, sia per oggetti di culto che personali o per casa. Si preferisce la pittura su smalto, alla pittura in smalto, come d'altronde succede perla ceramica. Nel XVIII secolo quindi lo smalto diviene un importante elemento per la decorazione di piccoli oggetti, orologi, tabacchiere, bracciali ecc., continuando per parte dell'Otto-cento ma sempre più diminuendo d'importanza, fino a scomparire quasi del tutto nel nostro secolo. Merito di De Poli sarà quello di riscoprire e rivalutare la tecnica a smalto riportandola all'importanza, come fatto artigianale e artistico, che aveva un tempo.

in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984