DECORAZIONE IN ARCHITETTURA di Antonio Piva

Anche l'architettura contemporanea non ha abdicato al concetto di decorazione. Mi riferisco a quell'architettura che, sviluppando gli assunti del movimento moderno, viene progettata oggi pensando ai valori della razionalità e della fantasia legati da un inscindibile patto di buon senso.
E superata la definizione del Palazzi che nel suo dizionario definisce la decorazione «l'insieme degli ornati con cui si abbellisce un edificio»; l'architettura sia in passato che nel presente ha fatto ricorso a colori, forme, materiali, tecniche costruttive, sogni e figurazioni, per esprimere con un proprio linguaggio le acquisizioni e le aspirazioni a volte di élite altre volte di massa.
Gaudì e la cultura catalana, Horta e Van De Velde e la cultura dell'Art Nouveau, Los e la cultura della Secessione, rispondono al meglio ai mutamenti delle coscienze, alla disponibilità e possibilità dell'architettura borghese illuminata che ha gravitato tra la casa Verdurin a Parigi ed il soggiorno di Gustav Aschenbach nella Prinzregentenstrasse a Monaco di Baviera. (1)
II successo di Innen Decoration fa sì che nel gennaio 1902 esca a Parigi il primo numero dell'edizione francese della rivista di Darmstand ed Alex Kock annunci la futura edizione inglese. Nel primo numero edito a Parigi da Charles Eitel, Henry Van De Velde parla del grande sforzo per ritrovare la sana tradizione della «creazione». «Sono convinto» scrive «che non avremo alcuna possibilità che questa creazione sia fertile se non inietteremo il nostro stesso sangue piuttosto che una mistura impura composta di acqua servita a pulire le opere dell'antichità.... Questa creazione sarà fertile se la feconderemo con germogli vigorosi che sono i nostri gusti, le nostre usanze, i nostri pensieri ed i nostri gesti.»
Penso sia da inquadrare il lavoro di Paolo De Poli in questa tradizione, dove l'elemento decorativo però si è già liberato dall'architettura con l'aspirazione a diventare opera d'arte carica di simboli e di messaggi. Se osserviamo le decorazioni inserite da H.C.R. Mackintosh nei suoi lavori di Glasgow ci si convince senza difficoltà della interdipendenza degli inserti figurativi e cromatici di Margaret e Frances Mac Donald con l'architettura. Gli effetti cromatici dei vetri, degli smalti, delle tele entrano a far parte di ordini e ripartizioni architettonici necessari alla composizione dello spazio. Le opere di De Poli, invece, mi pare siano autonome dall'architettura, anche se per questa, in molti casi, sono state create.
Negli anni in cui Paolo De Poli realizza i suoi smalti, destinati a far parte di uno spazio architettonico, tra il '33 e la prima guerra mondiale, vige il senso della rappresentazione di emblemi. A Padova, nello studio del Rettore dell'Università, realizza le due grandi figure di Giovanni Rusca da Como e del Vescovo Giordano, coeve ai grandi affreschi di Campigli sopra la grande statua di Arturo Martini nell'atrio della Facoltà di Lettere dell'Università di Padova. Ponti disegna i bozzetti e De Poli scompone le figure in forme irregolari, campi di colore che interpretano da pittore un'idea d'architetto.
Mi pare che Agnoldomenico Pica, conoscitore del lavoro di De Poli, insista a proposito sul valore pittorico di queste esecuzioni che in effetti hanno il peso di una pittura o di un affresco pieno di rimandi e citazioni provenienti dalla natura versatile ed inquieta di Ponti.

Si tratta, in molte opere, di una vera e propria collaborazione che occupa tutta una vita di stima ed amicizia reciproca: lavori che interpretano cartoni di Saetti, De Pisis, artisti veneti che rientrano nella cerchia degli amici. A volte si tratta di tentativi su temi di arredo domestico, il piccolo bar con le ante smaltate è frutto di disegni e conversazioni ancora con Ponti.
Anche dopo la guerra, se pure vi è un cambiamento di ispirazione, Paolo De Poli continua con «l'Arlecchino», la serie dei grandi pannelli decorativi che troveranno applicazioni nella nave Giulio Cesare, il pannello araldico, le «Stagioni», «Aprile».
I cinema, i teatri, bar, luoghi pubblici, ricorrono all'opera degli artisti per opere, spesso, impegnative e soprattutto di richiamo. Lucio Fontana modella pannelli di ceramica bianca ed azzurra, oppure regola l'esplosione dei fori nel soffitto del Piccolo Teatro di Milano quasi per gioco e compiacente ironia al servizio dell'esigenza tecnica di risolvere il problema della fono assorbenza della sala di spettacolo.
Nel lungo periodo delle Biennali veneziane e delle Triennali milanesi, De Poli è sempre presente nel confronto con l'architettura e l'arte, presente quando ancora Lucio Fontana nel '51 realizza con un tubo continuo di neon un immenso cirro sullo scalone d'onore.
Sostanzialmente vi è da un lato un vero e proprio rinnovamento nelle immagini, dall'altro un adeguamento al gusto diffuso del descrittivo che accompagna anche artisti come Enrico Ciuti, autore delle vedute di città italiane che decorano i pannelli dei portabagagli del Settebello progettato da Giulio Minoletti.
De Poli segue, nel suo lavoro, anche un'altra strada: l'ispirazione si ritrova espressa ancor meglio in quelle forme di animali piccoli e grandi, nel gallo e nelle anitre, pavoni, ogni specie di animali dell'arca accoppiati in un turbine di colori smaglianti.
Il grande gallo del '67 modellato da Marcello Mascherini può essere protagonista di uno spazio architettonico.
Il tutto tondo, come le ciotole, prende risalto sia in interno che in esterno; infatti le stesse ciotole sono pensate per essere collocate anche in spazi aperti.
Le Corbusier a Chandigarh aveva dato lezione di disinvoltura e coraggio con le più grandi decorazioni di cui ho memoria. L'ingresso del Parlamento ha come riferimento indiscutibile una immensa composizione di smalto suddiviso in cinquantacinque pannelli, ciascuno con un suo disegno e colore.
Le Corbusier popola spesso i suoi spazi con colori abbaglianti, chiazze, colpi di luce, riferimenti obbligatori dell'avventura spaziale architettonica ottenuti con i materiali più diversi, stoffe, rilievi, come nella sala delle assemblee, dove la composizione si adegua ad una funzione di tecnica acustica, bassorilievi nel cemento, pitture del cemento e dell'intonaco.
L'architettura contemporanea ha i suoi maestri e forse a De Poli è mancata la grande occasione di lavorare per le grandi architetture.
Per ogni artista c'è, e ci deve essere, almeno un'opera incompiuta, quella sognata e desiderata per tutta la vita, irraggiungibile nel mondo reale ed appena sfiorabile nell'immaginario.
Forse avrebbe potuto essere il grande volo di gabbiani in un cielo immenso ramato; tanti gabbiani con il loro volo di corpo pesante abbandonato sulle lunghe ali vibrate a dirigere la traiettoria nello spazio.
Questo bozzetto, che ho visto, rappresenta un'idea, un programma ed una intenzione; è un'attesa: il futuro.
Gli animali di smalto che abitano il laboratorio-studio fanno parte invece dello spazio domestico, mansueti riferimenti di un lessico formale e cromatico entrato a fare parte di molte case, dove anche le più piccole cose sono un segno di civiltà.

(1) Ci si riferisce alla «Recherche» di Marcel Proust e alla «Morte a Venezia» di Thomas Mann.

in L'Arte dello Smalto: Paolo De Poli, 1984